La Corte di Assise d’Appello di Torino ha assolto Alex Cotoia, 22 anni, accusato di aver ucciso il padre a coltellate nel 2020 per difendere la madre durante una lite familiare. Il nuovo processo era stato disposto dalla Cassazione, che aveva annullato una precedente condanna a 6 anni e due mesi.
La sentenza ha confermato l’assoluzione già pronunciata in primo grado nel novembre 2021. “Sono ancora frastornato. Ora devo metabolizzare. Festeggerò con la mia cagnolina”, ha dichiarato il giovane subito dopo la decisione della corte.
Una nuova vita dopo l’incubo
“Sono gioiosa, felice perché forse quel povero ragazzo riuscirà a godersi con la sua fidanzata un po’ di vita normale, tranquilla, quella che finora ci è stata negata. Ringraziamo questa Corte per aver capito che io sarei stata l’ennesima vittima di femminicidio”, ha dichiarato la mamma di Alex dopo la sentenza.
Parole di sollievo anche da parte del fratello Loris: “Ha vinto il bene sul male, tanta felicità e un grande respiro di sollievo. È stato un periodo bruttissimo, spero che l’incubo sia finito”.
Alex Cotoia, ventenne, era stato assolto in primo grado dalla Corte d’Assise di Torino per l’omicidio del padre violento, Giuseppe Pompa, ucciso con 34 coltellate. La sentenza aveva stabilito che «il fatto non costituisce reato», riconoscendo una situazione di legittima difesa. Tuttavia, il pg Alessandro Aghemo, che in primo grado aveva chiesto la condanna a 14 anni di reclusione, aveva successivamente contestato la tesi, spingendo per una revisione del caso.
La difesa di Alex, guidata dall’avvocato Claudio Strata, aveva presentato ai giudici oltre nove ore di registrazioni contenenti minacce e urla del padre, documentando anni di abusi. «Alex non poteva studiare, non poteva dormire, non poteva vivere – ha sottolineato il legale –. Ogni sera si coricava dopo aver abbracciato sua madre, temendo di svegliarsi e non trovarla più viva».
Il drammatico episodio avvenne dopo l’ennesima aggressione del padre nei confronti della moglie, scatenata da una gelosia ossessiva. Il 30 aprile 2020, Giuseppe Pompa chiamò la moglie 101 volte, spiandola al lavoro, e, rientrata a casa, l’aggredì con una furia incontrollata. «Sembrava indemoniato, pensavamo che ci avrebbe ammazzato tutti», raccontarono Alex e Loris.
Oggi Alex, che ha cambiato cognome insieme al fratello per tagliare ogni legame con la famiglia paterna, ha conseguito una laurea triennale e ha trovato un lavoro part-time. Interrogato sul suo futuro, ha risposto: «Vediamo, ci penso un attimo. Devo trovare anche il percorso di studi giusto». Per la sua famiglia, la sentenza rappresenta un passo verso la libertà e una vita finalmente normale, dopo anni di paura e sofferenza.
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