“Mentre a Roma parlano, nel carcere di Taranto si muore. Non è servito a nulla l’appello di un poliziotto penitenziario che lavora al “Carmelo Magli” al presidente della Repubblica, in cui denuncia le condizioni inumane sia per i poliziotti che per i detenuti. Così, nella giornata di giovedì 15 giugno, un detenuto di origini calabresi di circa trent’anni in attesa di giudizio per reati contro il patrimonio, ristretto al nuovo reparto (aperto senza aver inviato personale), si è suicidato con una corda rudimentale impiccandosi alla grata della finestra del bagno. A nulla è servito l’intervento del poliziotto in servizio prontamente intervenuto dopo aver notato che lo stesso non era nella stanza”. Lo dichiara in una nota Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sappe, il sindacato nazionale autonomo della Polizia Penitenziaria.
”Purtroppo – aggiunge Pilagatti -, con questo terzo suicidio dall’inizio dell’anno, il carcere di Taranto balza in testa alla classifica nazionale dei suicidi in carcere, record che lo scorso anno apparteneva a Foggia con ben cinque. Più volte il SAPPE ha denunciato pubblicamente la situazione insostenibile delle carceri pugliesi, con il più alto indice di sovraffollamento di detenuti e il più basso numero di poliziotti. Tutto ciò, secondo noi, crea le condizioni ideali per consentire ai detenuti più deboli di mettere in pratica il loro insano gesto, facendo leva anche sui controlli che sono scarsi proprio a causa della carenza di poliziotti”
“Non è un caso che proprio nei penitenziari di Taranto e Foggia, quelli più disastrati in termini percentuali detenuti/poliziotti (i più bassi a livello nazionale), si sono verificati più casi di suicidio, nonché tanti episodi di violenza e prepotenza – prosegue Pilagatti -. Il presidente Mattarella parla di dignità dell’essere umano in carcere, ma l’articolo 27 della costituzione è quasi completamente disatteso nelle carceri nazionali, esclusi alcuni modelli”.
”Vorremmo che il presidente Mattarella invitasse la politica, come sa fare, a mettere in agenda, seriamente, la problematica delle carceri italiane per consentire alla Stato di riappropriarsene, poiché da una parte non si dà la possibilità alle decine di migliaia di detenuti di intraprendere un cammino di rieducazione e ritorno nella società, mentre poi si consente a poche migliaia di delinquenti prepotenti di spargere violenza rimanendo impuniti, grazie al depotenziamento della polizia penitenziaria anche attraverso la riduzione sistematica degli organici avvenuti finora”.
“In caso contrario, si continuerà a contare i morti e ad ascoltare le inutili parole che i garanti scrivono per giustificare i loro stipendi, nonché i moniti inascoltati del presidente della repubblica”, conclude Pilagatti.
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