FOGGIA – Traffico internazionale droga, undici estorsioni, piccoli reati. E ancora omicidi, tentati omicidi, infiltrazioni nell’economia locale e nella politica, tre blitz (da Decima Azione a Game over) e 15 anni di lavoro di sinergia tra Dda di Bari, carabinieri, gdf e polizia foggiani e del capoluogo sotto la lente della Direzione Nazionale Antimafia.
Scacco al clan Li Bergolis che dall’entroterra del Gargano (Monte Sant’Angelo, Mattinata e Manfredonia) aveva messo le mani sulla costa, a Vieste, e che da montanaro era arrivato al vertice del narcotraffico con contatti in Albania e ‘Ndrangheta ma anche sodalizi con la Società Foggiana e gli altri clan del Gargano (Sinesi – Francavilla e Moretti – Pellegrino)
Una mafia, quella dei Li Bergolis basata sulla tradizione che guarda al futuro, dalla ferocia ostentata, in grado di condizionare il tessuto sociale, economico e politico (controllando il turismo e le amministrazioni locali) e di far crescere i ragazzi per farli diventare capi. Proprio come è successo a Ezio Miucci che da “u creature” ne è diventato boss. Dal carcere si continuava a dare gli ordini tanto da portare il gip a mettere tre persone già detenute al regime del 41bis.
I numeri parlano di 37 indagati in carcere (tra cui una donna) e due ai domiciliari, 10 milioni sequestrati, 48 capi di imputazione. Il tutto attraverso 160 pronunce giudiziarie, 22 siti videosorvegliati, 78 intercettazioni telefoniche e 18 collaboratori di giustizia, dal 2009 a oggi.
Elemento centrale che caratterizza i profili metodologici e le strategie operative del sodalizio mafioso garganico è rappresentato dalla feroce contrapposizione armata con il clan Romito-Lombardi-Ricucci, che ha generato, nel corso di oltre un decennio, una inarrestabile scia di sangue, culminata nel quadruplice omicidio di Apricena del 9 agosto 2017, “strage di S. Marco in Lamis”, durante la quale furono barbaramente uccisi anche due agricoltori estranei alle dinamiche mafiose, Aurelio e Luigi Luciani.
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