La semaglutide, un farmaco impiegato per la cura del diabete di tipo 2, riduce la fibrosi e la steatosi epatica attraverso l’azione di microvescicole circolanti che agiscono selettivamente su quelle cellule che nel fegato sono deputate alla produzione del tessuto fibrotico: le cellule stellate.
Questa è la conclusione alla quale è giunto un team multidisciplinare di ricercatori dell’Irccs “Saverio de Bellis” di Castellana Grotte guidato dalla dottoressa Mariapia Scavo, prima firmataria di un articolo scientifico, che ha visto la partecipazione di biologi funzionali e molecolari, nutrizionisti, endocrinologi, in collaborazione anche con l’Università di Bari. La semaglutide è un farmaco che regolarizza i livelli glicemici.
”La difficoltà nel comprendere il meccanismo di azione della semaglutide è dovuta al fatto che il suo recettore molecolare, GLP-1, è assente nel fegato, e quindi fino ad oggi era inspiegabile l’effetto sulla riduzione della fibrosi e/o steatosi – riferisce il direttore scientifico Gianluigi Giannelli -. La nostra ricerca per la prima volta dimostra che in seguito al trattamento con semaglutide vengono rilasciate in circolo alcune microvescicole extracellulari che raggiungono il fegato attraverso la circolazione sanguigna, entrano nelle cellule stellate riducendo la fibrosi”.
L’azione della semaglutide, quindi, è mediato a distanza da microscopiche particelle che trasportano al loro interno proteine, frammenti di RNA, che rappresentano per la cellula ricevente, un messaggio che si traduce in un effetto biologico: in questo caso la riduzione della deposizione di fibrosi, che si verifica però non in tutti i casi, come spiega ancora il direttore scientifico dell’istituto pugliese specializzato in gastroenterologia.
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