Sono già 132 le aziende pugliesi che hanno fatto ricorso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), introdotto con il decreto legislativo 14/2019, è entrato in vigore il 15 luglio 2022, recependo la direttiva europea «Insolvency» (numero 2019/2013).
In occasione del primo anniversario dall’entrata in vigore del Codice, è stato condotto uno studio sulle aziende in difficoltà, a cura dell’Osservatorio Economico Aforisma, diretto da Davide Stasi.
Sono state oggetto di approfondimento tutte quelle situazioni previste dal Codice: liquidazione giudiziale (procedura che sostituisce il vecchio fallimento), accordi di ristrutturazione dei debiti, amministrazione straordinaria grandi imprese, liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo omologato, concordato minore, liquidazione controllata, piano di ristrutturazione omologato, impugnazioni concorsuali, concordato semplificato.
«Così come nel campo medico, prevenire è meglio che curare, anche nel campo economico è meglio prevenire la crisi irreversibile di un’impresa o comunque coglierla sul nascere, in modo da poterla affrontare per tempo e risolverla – spiega Davide Stasi – Al di là di alcune modifiche alle vecchie terminologie (il fallimento si chiama oggi liquidazione giudiziale) l’obiettivo è quello di attuare tutte le possibili strategie affinché l’impresa in crisi possa salvarsi. Lo studio – aggiunge Stasi – fa una disamina delle imprese per regioni e province, nonché per periodo e settore economico».
Da luglio 2022 a maggio scorso (ultimo mese disponibile), sono state 85 le aziende in provincia di Bari che sono ricorse agli strumenti consentiti dalla legge per tenere a galla la propria attività; 22 quelle con sede in provincia di Foggia; 13 quelle in provincia di Taranto; 12 quelle in provincia di Lecce; nessuna in provincia di Brindisi.
Il comparto più colpito è il commercio con 32 aziende in Puglia. Seguono il settore delle costruzioni (30 imprese); le attività manifatturiere (25); il trasporto e magazzinaggio (9); il turismo in senso stretto, ovvero le attività di alloggio e ristorazione (6); le società di trattamento dei rifiuti (5); i servizi di informazione e comunicazione (5). Numeri via via decrescenti per gli altri settori.
«Le disposizioni – chiosa Stasi – sono in linea con i principi europei mirando a favorire l’emersione tempestiva della crisi attraverso strumenti di allerta soft che incentivino l’imprenditore ad attivarsi volontariamente per il superamento della situazione di difficoltà; la valorizzazione dell’autonomia privata delle parti con la previsione di strumenti anche stragiudiziali e con la limitazione dei poteri di intervento dell’autorità giudiziaria; la “risanabilità dell’impresa”, quale valore giuridico, da preservare attraverso procedure di ristrutturazione efficienti che favoriscano la continuità aziendale».
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