BARI – 1997. All’Ilva di Taranto è appena avvenuta l’ennesima morte sul lavoro, ma Caterino Lamanna, operaio nell’industria siderurgia, è pronto a darne la colpa ai sindacati. Caterino è un cane sciolto che si fa i fatti suoi, finché Giancarlo Basile, dirigente dell’acciaieria jonica, non lo recluta per “dirgli quello che succede” e racconti dell’attività sindacale di Renato Morra che infiamma gli animi degli operai e li spinge alla ribellione. Basile offre a Lamanna la promozione a caposquadra e l’auto aziendale, ma Caterino chiede di essere mandato alla Palazzina Laf pensando che sia un luogo di privilegio riservato a pochi eletti. In realtà è un edificio in disarmo, dove sono rinchiusi in orario di lavoro i dipendenti qualificati che hanno fatto l’onda. Un mobbing ante litteram, personaggio tra il grottesco fantozziano e l’amarezza di Wertmuller per la prima opera da regista di Michele Riondino, tarantino doc che ha scelto di raccontare una storia che fosse a lui molto vicina e sempre in tandem con l’amico e collega Elio Germano
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