Una storia di fede senza tempo aleggia nel cappellone della cattedrale di Otranto. Tra teschi e ossa parla di sacrificio e di morte, ricordando il sangue di 813 innocenti portati al patibolo nel 1480. L’esercito turco, guidato dall’ammiraglio Gedik Ahmet Pascià, giunto via mare e sospinto da un forte vento di tramontana il 28 luglio di quell’anno funesto sbarcò in una baia nei pressi dei Laghi Alimini e cinse d’assedio Otranto.
All’alba del 12 agosto, dopo l’espugnazione del borgo a colpi di bombarde fu dato il via a un efferato assalto. La città abbandonata a se stessa era persa e l’esercito ottomano compì una carneficina che culminò con la decapitazione del vescovo rinchiuso insieme a tanti disperati a pregare in cattedrale.
All’alba del 14 agosto, 813 uomini, sfuggiti all’eccidio del “dragone musulmano”, furono incatenati e portati in processione sul Colle della Minerva. Qui furono giustiziati per non aver abiurato, secondo una tradizione, la religione cristiana, secondo un’altra per aver rifiutato la resa e per soffocare ogni tentativo di reazione da parte degli Aragonesi e del papa. Caddero tutti come mosche.
Solo il tessitore Antonio Pezzulla, detto Primaldo, rimase miracolosamente in piedi, senza testa, sino alla fine del supplizio inferto a tutti. I corpi dei martiri giacquero abbandonati sul colle dove erano stati decapitati e furono trovati incorrotti dopo la cacciata dei turchi e la riconquista della città avvenuta il 10 settembre del 1481 ad opera del duca Alfonso di Calabria figlio del re Ferrante d’Aragona.
Di fronte a quel macabro spettacolo si stabilì di dar loro una degna sepoltura e poi di custodirli in teche della cattedrale idruntina mentre altri resti furono traslati per ordine del re a Napoli. Il culto in loro onore fu autorizzato nel 1711 dal pontefice Clemente XIV e sono stati canonizzati il 12 maggio 2013. Dal 1480 Otranto rende omaggio ai suoi martiri e non dimentica il loro tributo di sangue in nome della fede.
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