Operato ai denti in Albania sta male, mamma: “lo sentii urlare”

“In Italia avremmo pagato circa ventimila euro in un anno, diecimila ogni sei mesi oltre alle cure che annualmente avremmo dovuto sostenere. In Albania, nella clinica di Tirana, tutto ciò è costato 10mila euro. Ma mio figlio da mesi è in un letto di ospedale, soffre molto e credo che chi gli ha causato tutta questa sofferenza debba pagare”. Così Anna Barile, mamma di Simone Del Vecchio, il 37enne in ospedale da 8 mesi dopo essersi sottoposto lo scorso marzo in una clinica di Tirana, in Albania, a un intervento di asportazione dei denti per una piorrea. Anche la mamma di Simone si era già curata in Albania ma in una clinica differente da quella in cui è andato suo figlio che invece è stato attirato da un’inserzione con commenti positivi. Il giovane ha cominciato a stare male in Albania: qui è stato ricoverato ospedale, nel reparto di rianimazione. Poi è stato trasferito in elisoccorso al policlinico di Bari dove è stato in coma per diverso tempo. E’ stato poi trasferito nel reparto di malattie infettive per un’infezione e dopo cinque mesi è stato portato all’ospedale Casa Sollievo della sofferenza a San Giovanni Rotondo, dov’è ricoverato da settembre. “Lunedì prossimo – sottolinea ancora la mamma – sarà sottoposto a un altro intervento prima di subire quello alla trachea”. “Quando siamo partiti per Tirana – chiarisce la donna – credevamo di rientrare in tre giorni. Il lunedì seguente all’intervento Simone avrebbe avuto un importante colloquio di lavoro e voleva presentarsi con la dentatura finalmente sistemata. L’intervento era programmato per le ore 15 del pomeriggio. Dopo l’arrivo in clinica e la firma del consenso gli operatori sanitari ci consigliarono di fare un giro e mangiare una pizza. Poi, dopo aver pranzato, incontrammo uno dei medici che ci disse di rientrare in clinica perché l’intervento poteva essere anticipato di un’ora”. Simone e sua madre aspettano fino a quando il 37enne viene chiamato per l’intervento. “A un certo punto – ricorda la donna – lo sentii urlare e vidi un via vai di sanitari e poi un medico uscire dalla sala, sfilarsi i guanti, gettarli in un contenitore e poggiare la testa al muro. In quel momento pensai a quanto fosse stanco”. “Tutto – sottolinea – precipitò qualche ora più tardi. Dopo l’intervento mio figlio si accasciò sul pavimento mentre prendeva una bottiglia d’acqua dalla macchinetta”. Il dottor Cristiano Carbonelli, pneumologo interventista di Casa Sollievo, spiega che ora “vogliamo discutere in maniera multidisciplinare con colleghi anestesisti, rianimatori, otorinolaringoiatri, chirurghi toracici” perché occorre dilatare “il diametro del volume della trachea” che al di sotto delle corde vocali “è ridotto a sei millimetri”. (ANSA).

About Author