Lo Stato Italiano non avrebbe approfondito sufficientemente la causa della malattia di G. L., operaio dell’ex Ilva deceduto il 27 luglio 2010 per via di un tumore ai polmoni. Una malattia che avrebbe potuto risentire dell’esposizione all’amianto e ad altre sostanze tossiche della vittima, alle dipendenze dell’acciaieria dagli anni ’80 fino ai primi anni del nuovo millennio.
Tuttavia, il pubblico ministero incaricato di dirigere l’attività inquirente avrebbe richiesto l’archiviazione del caso per la presunta impossibilità di stabilire il nesso di causalità tra l’esposizione al materiale nocivo e la patologia dell’uomo. Motivazioni che avrebbero suscitato perplessità nei familiari della vittima, difesi dall’avvocato Luigi Esposito, i quali avrebbero sollecitato la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
La decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
I giudici di Strasburgo, infatti, avrebbero ritenuto non esaustivo il rapporto fornito dalla SPESAL (il Servizio di Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro), incaricata di ricostruire la carriera dell’operaio, alla base della richiesta di archiviazione avanzata dal PM e disposta dal giudice per le indagini preliminari. Inoltre, la famiglia non ha potuto includere nel fascicolo “rapporti scientifici ed epidemiologici redatti in procedimenti penali simili e la realizzazione di una perizia riguardante la storia medica e la patologia” del defunto parente, come richiesto in sede di opposizione alla richiesta di archiviazione.
La Corte ha osservato come, nonostante il GIP non abbia escluso a priori l’origine “professionale” della malattia di G.L., non sia stata offerta una tutela giudiziaria alle parti lese e non siano state disposte ulteriori indagini. Pertanto, la Corte di Strasburgo avrebbe rilevato come nel processo interno non sarebbero stati profusi tutti gli sforzi per risalire alla causa scatenante della malattia della vittima, in violazione dell’art.2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, contenente il diritto alla vita.
L’avvocato Esposito: “La CEDU ha reso giustizia”
“Un uomo ha sofferto molto ed è morto per provvedere al sostentamento della propria famiglia, merita un risarcimento morale”, ha dichiarato l’avvocato dei parenti della vittima, Luigi Esposito: “Nessuno potrà restituirgli la vita ma la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo gli ha reso giustizia. Non si può archiviare un procedimento per un reato così grave per una mancanza di approfondimento”.
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