BITONTO- Finito in carcere con l’accusa di aver promosso e diretto un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti operante su Bitonto, con l’aggravante delle modalità mafiose, a Domenico Conte, presunto boss dell’omonimo clan, sono stati sequestrati 300mila euro di beni.
Nella giornata del 25 febbraio i carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Bari hanno dato esecuzione a un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, emesso dal gip di Bari su richiesta della Procura della Repubblica di Bari – Direzione distrettuale antimafia a carico di Domenico Conte, indagato per aver promosso e diretto un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti operante su Bitonto, con l’aggravante delle modalità mafiose.
Secondo l’impostazione accusatoria, l’associazione gestiva due piazze di spaccio, una definita “Zona 167”, ubicata in via Sandro Pertini e l’altra nel centro storico di Bitonto, in via Arco Cristo, all’interno del quadrilatero conosciuto come “Zona del Ponte”. Per tali reati, Domenico Conte, ritenuto al vertice dell’omonimo clan, è stato recentemente attinto da una misura di custodia cautelare in carcere emanata dal gip del Tribunale di Bari.
Il valore del patrimonio sottratto alla disponibilità dell’interessato e della sua famiglia è stimato in circa 300mila euro, composto da dieci rapporti finanziari, due autovetture e dall’appartamento ubicato proprio in Via Sandro Pertini, un immobile di edilizia popolare occupato senza titolo, completamente ristrutturato, fino a farne una lussuosa dimora dotata di ogni confort, arredata con mobili e oggetti di ingente valore, nonché munito di un reticolato di telecamere per controllare l’area.
L’odierno provvedimento emesso dal gip, accoglie la proposta della Dda della Procura della Repubblica di Bari, formulata sulla base degli accertamenti patrimoniali effettuati dalla Sezione specializzata del Reparto operativo di Bari (fatta salva la valutazione nelle fasi successive con il contributo della difesa) che hanno ricostruito sia la carriera criminale del proposto sia gli introiti dell’intero nucleo familiare, fornendo un corposo quadro indiziario in ordine all’illecita provenienza della sua ricchezza, accumulata negli ultimi 10 anni e che costituirebbe il compendio del traffico di droga.
L’importante risultato odierno – frutto della sinergia di intenti tra la magistratura e le componenti investigative – rappresenta un’ulteriore conferma che la criminalità organizzata va contrastata non solo attraverso un’assidua opera di prevenzione e di repressione, ma anche attraverso attente e scrupolose indagini di natura finanziaria e patrimoniale, preziosi strumenti attraverso i quali vanno combattute le nuove, e più subdole, forme di manifestazione delle mafie.
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