All’ombra del Sedile, un tempo Palazzo del Seggio, edificato quando la piazza nel cuore di Lecce era fulcro di proficui scambi commerciali e risuonavano le voci della ricca colonia di mercanti veneziani, si può ammirare un mosaico. Incastonato nel 1953 con perizia artistica nell’ovale di Piazza Sant’Oronzo da Giuseppe Nicolardi non è solo un’opera d’arte di pietra viva, ma un simbolo identitario.
Esso racconta la storia del capoluogo salentino attraverso i suoi antichi emblemi: la lupa e il leccio. Il toponimo di Lecce deriverebbe, infatti, da ilex ossia il leccio l’albero più diffuso nelle foreste di Terra d’Otranto e da lupia ossia la lupa in cui si fondono e si confondono gli echi dell’antica colonia romana di Lupiae sviluppatasi ad immagine in miniatura della Roma caput mundi come testimoniano in modo inequivocabile teatro ed anfiteatro.
L’antico toponimo evoluto in Licea, Litium, Lippiae, Licia, Licium e Liccia attraverso i secoli perdura ancora oggi in ogni angolo della città a rievocare nel suo respiro la gloria del passato. Simbolo di forza il leccio avrebbe offerto riparo con la sua chioma alla lupa, simbolo di libertà e astuzia, alla cui guida si affidavano i popoli antichi come animale totemico. La lupa insieme al leccio fanno la comparsa nello stemma d’età normanna a ricordare le antichità della Lupiae chiamata allora Litium e messa al riparo sotto la corona comitale della Contea di Lecce.
Con tutta questa storia alle spalle il mosaico, simbolo di Lecce, non va calpestato anzi deve essere rispettato, soprattutto dopo il provvidenziale intervento di restauro. Se non ispira il buon senso o il rispetto bisogna confidare almeno nel fatto che camminare sopra lo stemma, in modo particolare sulla lupa, secondo la superstizione popolare porti sfortuna e sia fonte d’attrazione di una sonora bocciatura scolastica.
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