FOGGIA- “È un’emergenza nazionale perché le dinamiche della criminalità organizzata foggiana sono diverse dal resto d’Italia, ma c’è una grandissima attenzione dello Stato. Tutte le forze dell’ordine formano una grande squadra sul territorio che merita la fiducia degli imprenditori”.
Alla vigilia dell’inaugurazione dell’associazione Antiracket a Foggia intitolata ai fratelli Aurelio e Luigi Luciani, assassinati perché testimoni dell’agguato al boss Mario Luciano Romito freddato il 9 agosto 2017 a San Marco in Lamis, il coordinatore regionale di Fai Antiracket Puglia, Fabio Marini, fa il punto sulle otto bombe esplose nella provincia di Foggia (tre a San Severo, una a Vieste, quattro a Foggia) nei primi undici giorni di gennaio 2022.
“In Sicilia e in Campania quando un imprenditore denuncia è come se avesse firmato la polizza sulla vita, non lo toccano. A Foggia, invece, si accaniscono e lo fanno con modalità mafiose diverse” dice Fabio Marini approfondendo le parole del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho che ha definito la situazione criminale del foggiano una “emergenza nazionale”.
“Questa situazione dura da anni. Nel 2009 a Vieste un gruppo di imprenditori coraggiosi si è unito per denunciare le estorsioni all’associazione antiracket della Fai e ne è scaturita l’operazione Medioevo nel 2011”.
L’operazione Medioevo: l’arresto del boss Angelo Notarangelo
Droga, estorsioni, attentati incendiari: l’operazione “Medioevo” portò all’arresto della “primula rossa della criminalità garganica”, Angelo Notarangelo, come lo ha definito il procuratore della Repubblica del Tribunale di Lucera, Domenico Seccia, applicato alla Dda.
Con Angelo Notarangelo, poi freddato in un agguato mafioso a colpi di fucile, pistole e Kalashnikov il 26 gennaio 2015, sono stati arrestati Domenico Colangelo, 33 anni; Giuseppe Germinelli, 44, ritenuto il ‘factotum’ del capoclan Angelo Notarangelo; Giambattista Notarangelo, 39, cugino di Angelo; Marco Raduano, 27, pluripregiudicato già detenuto per spaccio di stupefacenti, tentato omicidio e rapina; Giampiero Vescera, 21; e Michele De Simio, 20 anni, l’unico incensurato. L’obbligo di dimora è stato notificato a Liberantonio Azzarone, 21 anni, che però era già agli arresti domiciliari.
Una banda di criminali che ha imposto la legge della mafia agli imprenditori del turismo a Vieste attraverso una quindicina di episodi di estorsione e un centinaio di episodi di attentati dinamitardi e intimidatori ai danni di attività imprenditoriali.
La presenza della Federazione Fai Antiracket sul territorio foggiano
“Su Foggia c’è stato un gruppo d’investimento della Federazione Fai e ci ha lavorato in prima persona Tano Grasso che sta seguendo il nostro gruppo e i risultati si iniziano a vedere” dice Fabio Marini parlando dell’ex politico, fondatore della Federazione associazioni antiracket e antiusura (Fai), Tano Grasso.
“Tant’è vero che abbiamo avuto un gruppo di imprenditori che ha denunciato le estorsioni e sarà Alessandro Zito a guidare l’associazione di Foggia, che sarà presentata domani (17 gennaio) alla presenza delle massime autorità dello Stato, del ministro Lamorgese e del Capo della Polizia di Stato, Lamberto Giannini”.
Alessandro Zito: imprenditore vittima di estorsione, presidente Antiracket Foggia
Alessandro Zito è un imprenditore foggiano che nel 2014 ha deciso di chiudere la propria ditta di ceramiche e materiali edili a causa delle continue e ripetute richieste di estorsione. Richieste che l’hanno spinto a trasferirsi a Pescara alla ricerca di sicurezza.
Una decisione difficile da prendere, ma che andava fatta perché forte è stata la pressione alla quale Alessandro Zito ha resistito per anni. Imprenditore vittima di racket che quando ha annunciato la propria decisione di chiudere l’azienda e andare altrove, è stato ricevuto dall’allora prefetto di Foggia Luisa Latella e il sindaco Franco Landella, poi arrestato il 21 maggio 2021 e accusato di corruzione e tentata estorsione.
La relazione della Dia: “In Puglia in crescita delitti di associazione mafiosa”
Secondo la Relazione del II semestre al Parlamento sull’attività della Direzione investigativa antimafia in Puglia c’è “un trend di crescita dei delitti di associazione di tipo mafioso espressivi sia delle tradizionali attività criminali del controllo del territorio, sia di quelle che denotano una vocazione affaristica e finalizzata al riciclaggio anche fuori regione”. E ancora “Alla struttura operativa in senso criminale si accompagna quella economica che annovera non solo imprenditori collusi ma anche commercialisti e professionisti di varia estrazione nonché esponenti della pubblica amministrazione”.
Dunque, in Capitanata la risposta dello Stato arriva forte, come anche l’intervento sul territorio delle forze dell’ordine che all’alba del 15 gennaio hanno perquisito a tappeto la città di Foggia e di San Severo.
“Tutte le forze dello Stato funzionano perfettamente e c’è una grande squadra che merita fiducia da parte degli imprenditori e devono fidarsi perché lo Stato c’è e questi attentati sono strategie del terrore. Proprio su questo fa leva la criminalità, sulla paura e sul terrore, ma uniti e denunciando, li battiamo” dice Fabio Marini, coordinatore Fai Antiracket Puglia.
“Quando la mafia ti entra in casa”: la lettera della vedova Luciani
E, allora, mentre lo Stato conduce la battaglia contro la Società foggiana, la mafia garganica e quella cerignolana che continua a praticare le attività storiche come l’assalto ai furgoni blindati e caveau, le parole del mese di maggio 2021 scritte da Arcangela Petrucci, vedova di Luigi Luciani, contadino ucciso il 9 agosto 2017 nella strage di San Marco in Lamis, possano far riflettere perché ha dovuto “spiegare a un bambino di quattro anni e mezzo perché non ha un padre e soprattutto perché e come è morto suo padre”.
“Quando la mafia ti entra in casa”
“Mi chiamo Arcangela e sono la moglie di Luigi e la cognata di Aurelio Luciani, i due fratelli agricoltori della provincia di Foggia, vittime innocenti di mafia nell’agguato del 9 agosto 2017 a San Marco in Lamis.
Cara classe dirigente, il 23 maggio ricorrerà il 29° anniversario della Strage di Capaci. Come ogni anno, immagino, da parte vostra, le tante belle parole, i grandi propositi per ricordare e onorare il dottor Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre uomini della scorta, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.
Sicuramente, molti di voi ricorderanno anche che il giudice Falcone è stato lasciato solo e abbandonato dai tanti che dovevano sostenerlo e proteggerlo.
A pensarci bene, in un modo o nell’altro, tutte le vittime innocenti delle mafie sono state lasciate sole. Mio marito e mio cognato, due onesti cittadini, due uomini perbene, sono usciti di casa una mattina per recarsi al lavoro e non sono più ritornati. Fatalità, sfortuna?
La verità è che la mia terra, la Capitanata, che possiede un potenziale straordinario, è stata lasciata sola per 40 anni, alla mercé dei criminali. All’improvviso, il 9 agosto 2017, a seguito della morte di altri due innocenti, tutti abbiamo scoperto l’esistenza della quarta mafia. Scusatemi, se ho un vago sospetto, che in questi anni da parte dei diversi Governi che si sono succeduti è stato più semplice, forse, girare la testa dall’altra parte.
Dopo la morte dei miei cari, ho percepito intorno a me omertà, ma anche rabbia, frustrazione, indifferenza, rassegnazione. Più volte ho sentito la frase: “Tanto qui non cambierà mai niente, perché siamo soli”.
Sapete, di gente che dice “no” alla mafia ce n’è tanta, anche nella stessa politica, nelle diverse amministrazioni locali, ma è quella stessa gente che ha bisogno di sostegno e di protezione continua. Nella mia terra, negli anni, sono stati chiusi i tribunali, sono stati chiusi i luoghi che creavano posti di lavori, in primis gli ospedali; per non parlare dell’agricoltura e del turismo, attività trainanti di questo territorio, da sempre però, poco valorizzati e scarsamente sostenuti.
Come più volte ribadito dalle Istituzioni locali, gli uomini e le donne delle forze dell’ordine, che ogni giorno mettono a repentaglio la propria vita, spesso sono costretti a operare con pochi mezzi a disposizione e quasi sempre sotto organico. Il carcere, luogo che dovrebbe rieducare e riabilitare il detenuto, troppo spesso viene alla ribalta solo per carenza di personale, per il sovraffollamento, per situazioni insostenibili e al limite.
La mafia arriva dove c’è povertà culturale ed economica, dove non c’è lavoro, arriva là dove sa che lo Stato non c’è o si comporta semplicemente da “ospite”. La mafia all’improvviso ti entra in casa, eppure è da anni che è presente nel tuo territorio e agisce indisturbata. La mafia ti uccide, crea panico, paura, terrore. Arrivi al punto di pensare che più niente abbia un senso, che la tua stessa vita non abbia più ragione di essere.
Cara classe dirigente, sono anni che sento parlare di riforme della giustizia, riorganizzazione delle carceri. Da anni sento dire, con toni entusiasti, che ci saranno nuovi posti di lavoro, che i giovani sono la priorità, nessuno sarà lasciato solo. Si promettono maggiori controlli sul territori e tanto altro.
Ovviamente bisogna attendere, dal vostro punto di vista, sempre “domani”. Mentre davanti a voi, sicuramente, ci sono tanti domani, per le persone che sono letteralmente sul lastrico, per coloro che sono entrati nel “vortice” dell’usura, del malaffare, che non sanno come arrivare a fine mese, che non sanno cosa dar da mangiare ai propri figli, quel domani potrebbe non esserci. La mafia arriva e detta le sue leggi. Penso che questo anno e mezzo di pandemia non abbia fatto nient’altro che accentuare e peggiorare i problemi di sempre.
Dinnanzi a tutti questi perenni ritardi, a queste mancanze e a questi fallimenti, ditemi, cara classe dirigente, il dottor Falcone che ha dato la propria vita concretamente per proteggere ed aiutare la gente onesta, la gente perbene, si sentirebbe lusingato? Basta davvero solo un post sui social per mettere a posto la coscienza?
Ed intanto, mentre la maggior parte di voi, probabilmente, starà pensando alle frasi più belle e ad effetto da postare in occasione del 23 maggio, a breve, io dovrò spiegare ad un bambino di quattro anni e mezzo perché non ha un padre e soprattutto perché e come è morto suo padre. Brutale morte avvenuta nell’indifferenza di molti e nell’assenza di tanti altri.
In fede
Arcangela Petrucci
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