““Non t’importa che siamo perduti?”. Quanta disperazione in questa domanda, che racchiude il grido di chi si sente abbandonato. È una richiesta d’aiuto che parla di solitudine, della mancanza di una parola gentile, della vicinanza, e della sensazione di essere soli anche di fronte a Dio. Nel 2024, ben 1.745 persone hanno perso la vita nel Mediterraneo e lungo le rotte terrestri cercando di raggiungere l’Europa, in cerca di un futuro migliore. Le stime globali parlano di 8.565 morti nel 2023, il numero più alto dal 2016. Un dato tragico, che ci ricorda che queste persone non sono solo numeri: erano uomini, donne, con nomi, storie e famiglie che ora piangono la loro scomparsa”. Comincia così la preghiera “Morire di speranza” di monsignor Giorgio Ferretti, arcivescovo metropolita di Foggia Bovino, in una riflessione su chi lascia il proprio paese in cerca di un futuro diverso.
“Il desiderio di una vita migliore, legittimo e umano, spesso si trasforma in tragedia. La spiegazione logica sembra risiedere nel male che alcuni uomini infliggono ai loro simili: mafie, caporalato, trafficanti di esseri umani. Dietro queste parole si celano persone deviate dal denaro e dal potere, pronte a tutto”, scrive mdoda monsignor Ferretti.
“E noi, dove siamo? Distratti, presi dalle preoccupazioni di un mondo ricco, a volte impauriti. Eppure, c’è chi non si è voltato dall’altra parte. La nascita dei corridoi umanitari, promossi dalla Comunità di Sant’Egidio e dai fratelli evangelici, rappresenta una via legale e sicura per salvare i più vulnerabili dalle mani dei trafficanti. Queste scelte di accoglienza e integrazione sono nate dal dolore e dalla compassione”, sottolinea l’arcivescovo metropolita di Foggia Bovino.
“La Chiesa, come una madre, ci invita a fare memoria, a non dimenticare. Dire “a me importa” diventa un atto di responsabilità, di partecipazione umana. Questa sera ci raccogliamo per piangere e pregare per chi è stato trattato come uno scarto, per chi ha perso la vita cercando speranza. Dio dov’è, quando siamo perduti? Ci importa a noi? Ci risponde Elie Wiesel: “Dio è lì su quel patibolo”, soffre con chi è rigettato e disperato. Dio è rifugio per i naufraghi, è conforto per chi è lontano da casa, è padre per gli orfani. A lui ci rivolgiamo, chiedendo che la tempesta si plachi, affinché nella nostra terra vi sia accoglienza, fraternità e pace. Affidiamo i nomi di questi nostri fratelli e sorelle alla misericordia divina, affinché trovino la pace eterna e ci diano la forza di combattere il male e costruire un mondo migliore”, conclude monsignor Ferretti.
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