“Con questo decreto Ilva il governo confeziona un bidone di Stato. Mantenere la fabbrica aperta e funzionante in questi anni è costato agli italiani circa 20 miliardi, tra debiti ammessi al passivo dell’ex Ilva, sofferenze lasciate in eredità da Acciaierie d’Italia, cassa integrazione ai lavoratori, costi ambientali e sanitari, senza contare il filotto di prestiti. Tutto questo non ha scongiurato procedure d’infrazione Ue, impatti ecologici devastanti, sequestri giudiziari e gestioni commissariali. Di fronte a questo disastro il Governo Meloni, così come il governo Renzi, ripropone lo stesso paradigma industriale fallimentare del passato, ovvero garantire la continuità produttiva a carbone invocando la strategicità dello stabilimento per il Paese. Il governo in questi 18 mesi ha dimostrato tutta la sua incapacità di delineare una politica industriale. E’ sua responsabilità aver dapprima reintrodotto lo scudo penale (da noi cancellato) per cercare di tenere dentro Arcelor Mittal; poi ha annullato il progetto di nazionalizzazione avviato nel corso del Governo Conte II; a seguire ha annunciato con Fitto la sottoscrizione del famoso Memorandum con i Mittal, che nessuno ha mai visto; ha cancellato il finanziamento di 1,2 miliardi di euro dal Pnrr sulla diversificazione industriale dell’impianto siderurgico; in ultimo, ha “regalato” 680 milioni di soldi pubblici, concedendo un prestito, senza garanzie, che non sarà restituito e su cui alto è il rischio di infrazione per violazione delle norme europee sugli aiuti di stato. Si trasferisce sul territorio l’ennesimo “bidone di stato”, con oltre 200 milioni di euro di sofferenze, che si aggiungono ai 150 milioni del 2015, alle 500 imprese dell’indotto a rischio chiusura e ai 5 mila lavoratori indiretti a rischio licenziamento e per i più fortunati ulteriori anni di cassa integrazione, nella speranza vana di tornare un giorno a lavorare. Poi c’è il ministro Urso, che ha fatto solo promesse da marinaio sui crediti dell’indotto. La norma in esame, infatti, non garantisce la recuperabilità perché non contempla la cessione pro-soluto, che lo stesso Ministro aveva promesso, e riguardo ai lavoratori di queste realtà, si garantiscono tutele per soli di 10 mesi, dopodiché non si sa cosa accadrà. Urso è andato oltre: ha annunciato di voler produrre acciaio pulito per sostenere la produzione di auto in Italia. Finché ci sarà il ciclo a carbone però dalle ciminiere non usciranno fiori. In prospettiva, il Governo promette di far ripartire la produzione, con i soldi pubblici degli italiani, concedendo un ulteriore prestito a fondo perduto di 320 milioni, e con i soldi dei cittadini di Taranto destinando le risorse delle bonifiche alla continuità produttiva . Queste risorse pubbliche serviranno nella migliore delle ipotesi ad arrivare a settembre. In questa prospettiva, è grave il persistere dell’assenza di un piano industriale. Il M5S continua a chiedere per Taranto un accordo di programma che contempli la chiusura delle fonti inquinanti, le bonifiche, la diversificazione industriale con l’abbandono del fossile, l’introduzione della VIIAS e soprattutto la riconversione economico, sociale e culturale del territorio, espressione quest’ultima al governo sconosciuta. La principale economia di Taranto è ormai la cassa integrazione, da cui vivono ormai oltre 6.000 persone. Taranto merita un futuro diverso”. Così il vicepresidente del M5s Mario Turco, coordinatore del Comitato economia, lavoro e imprese, intervenendo in dichiarazione di voto sul dl ex Ilva.
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