È iniziato in tono dimesso, a Potenza, il processo sul disastro ambientale legato all’ex Ilva di Taranto, nell’ambito dell’inchiesta “Ambiente svenduto”. La prima udienza preliminare si è limitata a questioni organizzative, con la presenza quasi esclusiva degli avvocati difensori e di parte civile, qualche decina di cittadini e alcuni rappresentanti delle associazioni ambientaliste.
L’udienza, durata appena due ore prima di essere rinviata al 4 aprile, ha visto il Gup Francesco Valente riservarsi la decisione sulla validità della costituzione di parte civile effettuata nel procedimento annullato a Taranto. Intanto, il numero degli imputati è sceso a 23 e potrebbe diminuire ancora, mentre per i reati minori sembra avvicinarsi la prescrizione.
Il procedimento, ripartito da zero dopo l’annullamento della sentenza di primo grado (270 anni di carcere complessivi e 26 condanne), coinvolge tra gli altri i fratelli Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell’impianto (già condannati rispettivamente a 22 e 20 anni), l’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso (21 anni) e l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola (tre anni e mezzo).
A Potenza si contano 282 parti offese, perlopiù rappresentate solo da legali. L’udienza si è svolta in tre aule del tribunale collegate in videoconferenza, affrontando in particolare il tema della conservazione delle costituzioni di parte civile.
Sul fronte logistico, il Comune aveva predisposto navette per l’afflusso dei partecipanti, ma l’affluenza è stata scarsa. Le prossime udienze, a partire dal 4 aprile, si terranno con cadenza bisettimanale nella speranza di arrivare a una decisione sul rinvio a giudizio entro l’estate.
Marescotti (Peacelink): “Vogliamo verità e giustizia”
Fuori dal tribunale, PeaceLink ha ribadito il proprio impegno nella ricerca di verità e giustizia. «Siamo qui oggi a Potenza per chiedere giustizia — ha dichiarato Alessandro Marescotti —. La nostra associazione è parte civile in questo processo, che ha preso avvio da un nostro esposto in Procura nel 2008, quando denunciavamo l’inquinamento da diossina riscontrato in un pezzo di pecorino prodotto nei pressi dello stabilimento Ilva. Questo processo è un dovere verso la memoria delle vittime e un passo necessario per non dimenticare un disastro ambientale senza precedenti».
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