“Il secondo Governo Conte ha lasciato un quadro di certezze, con risorse e un piano industriale, poi spettava a chi è venuto dopo proseguire, a Draghi e ora a Meloni” ma la responsabilità principale è “quella della scelta del contraente fatta da Calenda ministro nel 2017, puntando su Mittal, peraltro senza aprire ai rilanci dopo la prima offerta, come previsto dal bando di gara”. Lo dichiara alla Stampa l’ex ministro del M5s Stefano Patuanelli.
“C’era un’altra cordata pronta a subentrare a Taranto, composta dal gruppo Jindal e dal gruppo Arvedi quali soci industriali di indiscussa capacità, con il sostegno finanziario di Cdp, e quindi dello Stato, e la partecipazione di Leonardo Delvecchio. Quella era la cordata giusta a cui affidare l’ex Ilva, ora staremmo raccontando un’altra storia”, aggiunge Patuanelli.
Sul fatto che però sia stato il governo Conte 1 a finalizzare la procedura con Mittal rileva: “Il parere dell’Avvocatura dello Stato parlava di una gara viziata per la mancanza della fase dei rilanci, ma anche che, arrivati a quel punto, era d’obbligo tutelare l’interesse pubblico e andare avanti, dato che l’altra cordata era stata messa in liquidazione e non c’erano alternative: si sarebbe prodotto solo un danno per le casse pubbliche”.
E sulla posizione di Calenda, secondo il quale il problema è stata la scelta di eliminare lo scudo penale, afferma: “Un pretesto per giustificare il disimpegno. Basta vedere cosa sta succedendo oggi: il governo Meloni ha ripristinato lo scudo, ma l’impegno di Mittal non è aumentato”. Inoltre, conclude, “può stare tranquillo, non esistono patti parasociali segreti, è tutto alla luce del sole”.
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