BARI – Due vigilesse della polizia locale ma anche una funzionaria della prefettura. Nuovi risvolti emergono dall’inchiesta coordinata dalla Dda di Bari che due giorni fa ha portato a 130 misure cautelari tra vertici dei clan baresi, esponenti politici e colletti bianchi
Dalle ordinanze emergerebbe che le due agenti avrebbero chiesto aiuto a un fedelissimo del clan Parisi di Japigia, Fabio Fiore (ex autista del boss ‘Savinuccio’), forse per punire una persona che, dopo aver ignorato un semaforo rosso, avrebbe insultato le due agenti con frasi particolarmente pesanti. E poi, una funzionaria della Prefettura di Bari, che per il furto della sua Lancia Musa – il 25 gennaio del 2018 – avrebbe chiesto l’intervento di un indagato vicino ai Parisi, Gaetano Scolletta. Tra l’altro contattandolo anche da un’utenza telefonica intestata al ministero dell’Interno – scrivono i magistrati. E sarebbe stato poi lo stesso Scolletta che le avrebbe detto di fare denuncia ai carabinieri, le avrebbe fatto trovare l’auto e le avrebbe suggerito come avvisare le autorità del ritrovamento. Il tutto previo pagamento di 700 euro.
Il clan Parisi, quindi, sempre più punto centrale dell’inchiesta della magistratura barese la quale ha indagato anche sugli affari imprenditoriali del sodalizio, come quello sulle torrefazioni del caffè che – secondo gli inquirenti – sarebbe stato un campo molto redditizio, costringendo bar e attività commerciali a vendere esclusivamente il prodotto della malavita, spesso dopo averlo acquistato a nero, con un ricavo di 10 euro per ogni chilo di caffè venduto. Riconducibili al clan, secondo gli inquirenti, sarebbero state le imprese Torregina Caffè, Raro srl e Caffè Sartoriale. La prima riconducibile a Tommaso ‘Tommy’ Parisi (cantante neomelodico e figlio del boss) e Christopher Luigi Petrone, della seconda era “socio occulto” il fratello del boss, Massimo Parisi.
E proprio Tommaso Parisi, nelle scorse ore, avrebbe reso dichiarazioni spontanee al gip dicendosi “estraneo alle attività illecite” della sua famiglia.
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