BRINDISI – Ha rischiato grosso la Asl, ovvero risarcire di quasi 245mila euro un suo dipendente che lamentava di aver svolto mansioni da dirigente non previste dal suo contratto di lavoro. E invece, nulla da fare, perché il giudice ha dato ragione all’azienda sanitaria locale con una sentenza che ha rigettato il ricorso del lavoratore.
La richiesta del dipendente
I fatti, arrivati poi in tribunale, si riferiscono al periodo compreso tra il primo dicembre 2010 al luglio 2014. in questo lasso di tempo, il dipendente sostenne di aver svolto in ambito sanitario pubblico mansioni superiori rispetto a quelle previste dal suo contratto di lavoro, quale collaboratore amministrativo esperto, e di essere persino divenuto un dirigente di fatto. Il tutto, a suo dire, senza che l’Asl gli avesse riconosciuto i giusti emolumenti. L’ex dipendente dell’Azienda sanitaria locale di Brindisi si rivolse a un legale e, nel 2016, portò l’ex datore dinanzi al giudice del lavoro: di quasi 245mila euro la sua richiesta per differenze retributive non intascate. Per l’Asl, però, nulla di tutto ciò e la resistenza in giudizio per il tramite dell’avvocato Fabio Zecchino del Foro di Brindisi. Dopo tutta una serie di udienze susseguitesi nel tempo, lo scorso 26 gennaio, il giudice del lavoro Pietro Primiceri ha emesso una sentenza con la quale rigetta il ricorso dell’ex dipendente Asl. Quest’ultima ha conseguito, in tal modo, un notevole risparmio rispetto alle richieste di parte: circa 275mila euro, considerando interessi e rivalutazione monetaria dal 2014 a oggi. Le spese sono state compensate. Stando agli atti prodotti e agli elementi di prova prodotti dalla difesa, infatti, è emerso come in realtà – nel periodo indicato dalla parte attrice, dal primo dicembre 2010 al primo luglio 2014 – la dirigenza dell’unità operativa complessa, nella quale collaborava il ricorrente, fosse già stata affidata a una responsabile, sostituita nei periodi di assenza da altre due colleghe ben identificate. Di qui il rigetto totale delle pretese: con una cifra notevole che resta, dunque, nelle casse pubbliche.
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