MESAGNE- “La Sacra corona unita oggi non ha la forza che aveva prima, ma c’è ancora. Se c’è, vuol dire che ci sono gli imprenditori. E se non ci sono bombe vuol dire che allora la situazione è grave perché non c’è bisogno dell’atto sintomatico. L’antimafia diventa efficace quando gli imprenditori sottraggono il potere alla mafia”. Lo ammette, Tano Grasso, presidente onorario della Fai (Federazione antiracket italiana) che le frasi che ha pronunciato potrebbero essere scomode e antipatiche per qualcuno. Ma la realtà è questa, perché altrimenti “Non saremmo qui a fare un’iniziativa del genere”.
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Colui che ha fondato la prima associazione antiracket in Italia, a Capo d’Orlando nel 1990, siede sul palco con i big della serata che conclude la due giornate dedicata all’anniversario dei 30 anni dall’istituzione del commissario di Mesagne, avvenuta il 15 marzo 1992.
Accanto a Tano Grasso c’è don Luigi Ciotti, fondatore del gruppo Abele e di Libera, associazione nomi e numeri contro le mafie, il procuratore della Repubblica di Brindisi, Antonio De Donno, Cataldo Motta già procuratore della Repubblica presso il Tribunale e a capo della Direzione distrettuale Antimafia di Lecce, e Filippo Spiezia, membro italiano dell’agenzia Eurojust.
Tutti e cinque sono ospiti del giornalista Pierangelo Putzolu che ha magistralmente condotto il convegno, dando i tempi giusti e ponendo le domande utili per focalizzare e approfondire il tema “Nascita ed evoluzione della mafia nel Salento”.
“Se il mondo imprenditoriale non cambia atteggiamento su queste cose, il fenomeno sarà sempre tra i piedi” dice ancora Tano Grasso durante il proprio intervento.
L’antefatto di Tano Grasso: bombe a San Vito dei Normanni, la chiamata di Rosa Stanisci, il sindaco
“Il 15 gennaio 1992 io mi trovavo a San Vito dei Normanni: mi chiamò il sindaco Rosa Stanisci – la prima donna a ricoprire il ruolo in città. Mi chiamò per darle una mano perché nel 1991 a Capo d’Orlando (Messina, Sicilia) si erano contate 100 bombe ai danni di commercianti e il 30 novembre 1991 si era concluso con sentenza per associazione mafiosa un processo di rilievo nazionale costruito esclusivamente sulle testimonianze degli operatori economici”.
Battezzata Acio, la prima associazione antiracket italiana Associazione commercianti imprenditori orlandini, fu una svolta nella reazione alla prepotenza e alle pressioni subite dalle cosche Nebrodi e dopo aver fatto arrestare gli uomini del pizzo, 140 imprenditori scelsero di partecipare al processo e raccontarono in aula la loro esperienza. Fu il primo passo nella battaglia di liberazione dal racket che negli anni ha subito alterne vicende, stop e riprese e ha contato molte vittime.
“Condividevano l’esperienza dell’intimidazione e avevano la forza e il potere per influire sulle azioni dei mafiosi: così si unirono” racconta e insegna Tano Grasso.
“La sera dell’incontro con Rosa Stanisci nell’aula magna della scuola- la Dda non c’era e il pm era Michele Emiliano a Brindisi- quando finimmo esplosero due bombe in altre due scuole. Furono le ultime due bombe. Si inizio attività di collaborazione imprenditori”.
“Una stagione straordinaria. L’esempio di San Vito si allarga in altri paesi della provincia, e si costituì la prima associazione nata fuori dalla Sicilia. Quella sentenza ha dimostrato un percorso di giustizia rapidissimo ed efficiente”.
Poi Tano Grasso ricorda Vincenzo Parisi, l’allora capo della Polizia di Stato: “In nove mesi un grande uomo della ps, Vincenzo Parisi aprì due commissariati in Italia, a marzo a Mesagne, il primo giugno del 1991 a Capo d’Orlando. Immediatamente da 30 a 120 poliziotti”. I ricordi si rincorrono nella testa di Tano Grasso e nella memoria di tutti.
Il dibattito pubblico sulla mafia e la “convenienza” dell’imprenditore
“Queste cose ci aiutano a capire quanto è cambiato e quanto si deve ancora fare. Nel dibattito pubblico sul tema della mafia c’è un pezzo che dice che si è sempre allo stesso punto, c’è un pezzo di opinione pubblica che infondo pensa che siamo sempre lì. Invece, lo scenario è completamente diverso, anche in Calabria. Svolgiamo la funzione pedagogica negativa se diciamo quello”.
“Il consenso sociale è un problema. Qual è l’altra faccia dal punto di vista dell’imprenditore? È la convenienza. L’imprenditore per definizione è un soggetto razionale. La situazione di convenienza va distinta: convenienza di sapere che se non vai a cercare il mafioso lavori con difficoltà sul territorio. Devi passare da lì. Ed è la situazione foggiana.
La Scu oggi non ha la forza che aveva prima, ma c’è ancora. Non saremmo qui a fare un’iniziativa del genere. Se c’è, vuol dire che ci sono gli imprenditori. E se il mondo imprenditoriale non cambia atteggiamento su queste cose, il fenomeno sarà sempre tra i piedi”.
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