Il dissalatore di Taranto, finanziato con 70 milioni di euro grazie all’accordo tra Governo e Regione Puglia sul Fondo di sviluppo e coesione, rappresenta un’opera strategica cruciale per la provincia. Realizzato dall’Acquedotto Pugliese, garantirà acqua per uso civile a 380.000 persone, riducendo il prelievo dai pozzi destinati all’irrigazione. Tuttavia, sorgono dubbi sul sito scelto per l’opera, ritenuto un bene paesaggistico, e sulla sostenibilità della fonte d’acqua: il fiume Tara.
Massimiliano Stellato, consigliere regionale, sottolinea che, sebbene Aqp assicuri la tutela dell’ecosistema, l’Agenzia regionale per l’ambiente (Arpa) ha espresso perplessità in sede di conferenza dei servizi. Arpa avverte che il prelievo d’acqua cumulativo dal Tara – destinato sia all’ex Ilva sia al dissalatore – potrebbe superare la soglia critica di 1.000 litri al secondo, compromettendo l’equilibrio idrico del fiume.
L’opera, pur essendo fondamentale, rischia di causare danni ambientali significativi. Tra le soluzioni proposte, emerge la possibilità di individuare un sito alternativo o di ricorrere a strumenti previsti dal decreto siccità. Inoltre, già nel 2021, la Regione Puglia aveva valutato opzioni alternative, come il riutilizzo delle acque dei depuratori Gennarini-Bellavista per il siderurgico o la costruzione di un dissalatore off shore, entrambe rimaste incompiute.
Il progetto del dissalatore sul Tara prosegue, ma un doppio utilizzo appare insostenibile. Stellato invita a una riflessione attenta e annuncia una richiesta in Commissione Ambiente per audire tutte le parti coinvolte. “Taranto ha già pagato un prezzo altissimo in termini ambientali. Non possiamo permetterci di sbagliare ancora”, conclude.
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