Rocco Palombella (Uilm). “Dopo cinque mesi dall’avvio dell’Amministrazione straordinaria oggi stiamo parlando di un piano di discesa e non di risalita, con il raddoppio della cassa integrazione e una produzione minima con un solo altoforno. Nel progetto illustrato dal Governo e dai Commissari non vediamo garanzie, non ci sono certezze per i lavoratori né una prospettiva industriale solida. Si parla di una produzione a sei milioni tra non meno di un anno e mezzo, con i tre altoforni a fine vita, non ci sono scadenze precise sull’avvio della decarbonizzazione, sulla costruzione dei forni elettrici e dell’impianto di pre ridotto. Stiamo parlando di una lenta e inesorabile agonia che, purtroppo, il Governo e i Commissari non stanno evitando. Vogliamo parlare di prospettive concrete, di rilancio reale, di sviluppo, di decarbonizzazione, di tutela occupazionale e ambientale e non solo di ammortizzatori sociali. Oggi abbiamo ascoltato solo progetti generici senza alcun impegno vincolante. Se non ci sarà una svolta chiara e immediata il destino è segnato. Cosa mette sul mercato il governo abbiamo impianti fermi e in condizioni fatiscenti e una richiesta per 5mila lavoratori in cassa integrazione. Quale azienda si farà carico di questo? Nel bando di gara si metteranno delle garanzie anche per i 1.600 in Ilva AS e delle aziende dell’indotto? Per noi sono imprescindibili, come previsto dall’accordo del 2018 che non metteremo in discussione. Sono dieci anni che si parla di forni elettrici ma non si parte mai e abbiamo una gara per il pre ridotto bloccata da mesi, con fondi disponibili per oltre un miliardo fermi. Ma qual è il progetto per il futuro dell’ex Ilva? Accompagnarla lentamente alla chiusura? Fino a oggi, grazie alla lotta dei lavoratori, abbiamo evitato una chiusura imminente degli stabilimenti. Quello che ci hanno detto oggi il Governo e i Commissari non ci tranquillizza perché non abbiamo ottenuto garanzie. Di fatto siamo tornati indietro al 2017, al bando di gara, con la differenza che all’epoca gli impianti funzionavano. Quel che è certo è che non ci siamo arresi allora e non ci arrenderemo nemmeno questa volta”.
Francesco Rizzo e Sasha Colautti Esecutivo Confederale Usb. “Il tavolo odierno a Palazzo Chigi per la nostra organizzazione ha sancito due elementi: Il primo è che ci sembra a senso unico la strada che porta al piano “di ripartenza” e quindi alla CIGS. Gli amministratori hanno rappresentato nel merito la difficilissima situazione impiantistica e le modalità con cui arrivare entro il primo trimestre 2026, e nel pieno rispetto dei svariati dettami legge, ad una produzione stabile basata su 3 altoforni, capace di saturare tutto il personale. La proposta dei commissari è quella di abbassare ulteriormente i numeri della cassa, di garantire rotazione e formazione, ma per la nostra organizzazione questo ancora non basta, e servono ulteriori garanzie per un’integrazione economica e numeri di utilizzo ribassati ulteriormente. Abbiamo però ribadito anche che, a nostro avviso, la questione centrale, al di là della gestione della “ripartenza”, diventa da subito quella che riguarda il bando di vendita e le condizioni dello stesso. Secondo noi infatti non è stato sufficiente il racconto dei commissari e del Governo su quelle che sono le condizionalità o i requisiti per l’acquisto degli stabilimenti da parte di uno dei 6 soggetti privati che si sono affacciati a questa vicenda. I requisiti infatti, oltre a non essere stati oggetto di una discussione preventiva con noi, ci sembrano ancora troppo generici e privi di una reale indicazione sul futuro concreto dell’azienda. Serviva dal Governo un vero chiarimento sull’idea di carbonizzazione, di cosa questo significa concretamente, anche per quanto riguarda la paventata realizzazione dei forni elettrici su cui oggi non si è detto nulla. La nostra organizzazione ha quindi ribadito la necessità di un confronto nel merito sulle condizioni di ingresso di un eventuale nuovo soggetto. Per noi serve una prima fase di accompagnamento pubblico reale per evitare il ripresentarsi di una nuova Arcelormittal. Per USB è prioritaria la garanzia totale dell’occupazione, della tenuta unitaria del gruppo (no allo spezzatino tra stabilimenti), dell’indotto e ovviamente abbiamo ribadito che i lavoratori di Ilva in AS devono essere dentro a questo percorso”.
Antonio Spera e Daniele Francescangeli (Ugl Metalmeccanici). “Nell’incontro odierno svoltosi a Palazzo Chigi, in cui si è riunita la cabina di regia coordinata dal sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano, Adolfo Urso Ministro delle attività produttive e del Made in Italy, Elvira Calderone Ministro del Lavoro, Raffaele Fitto Ministro Affari Europei, Pichetto Fratin Ministro Dell’ambiente e della Transizione Energetica, è stato illustrato il piano di rilancio che riguarda i tre alti forni con un totale di sei milioni di tonnellate entro il 2026. Rileva il giudizio positivo che è giunto dalla Commissione europea che dà il via alla piena ripartenza dopo le modifiche ambientali che saranno fatte in futuro. Il bando di vendita degli impianti avverrà in ottemperanza alle regole della Golden Power, la pubblicazione del bando avverrà entro fino luglio e sarà aperto orientativamente fino a metà settembre, con la previsione di alcuni punti fermi per la cessione: il numero degli occupati, decarbonizzazione, piano industriale di lunga durata pari almeno 4 anni, e compensazione verso le comunità locali. Ad oggi sono sei le manifestazioni di interesse delle multinazionali che hanno visitato gli impianti e sono interessate all’acquisto del siderurgico. Tra le sei multinazionali, quattro sono internazionali e due italiane. L’annuncio dell’utilizzo della cassa integrazione per un totale di 4700 dipendenti con regime di rotazione e i principi che guideranno la procedura di assegnazione della nuova proprietà saranno regole rigide e garanti per il mantenimento dell’attuale forza lavoro. Riteniamo positiva la soluzione individuata dal Governo durante l’incontro odierno, ma dobbiamo registrare che oggi le difficoltà sono tante e quello che abbiamo ribadito riguarda tempi certi per il futuro delle acciaierie di Taranto. Mentre la questione dei forni elettrici sarà legata al piano industriale definitivo da parte degli acquirenti, come Ugl chiediamo garanzie per sgomberare un contesto quanto mai instabile e pericoloso per la salvaguardia della fabbrica, degli impianti, dell’incolumità dei lavoratori e per l’ambiente”.
Michele De Palma (Fiom Cgil). “Noi vogliamo garanzie sui livelli occupazionali. Anche se si fa un bando, quello deve essere oggetto di confronto. Il governo ha la responsabilità di costruire, con i commissari e con le organizzazioni sindacali, una soluzione strategica per il principale impianto siderurgico d’Europa. Non può succedere che a pagare in cassa integrazione siano le lavoratrici e i lavoratori”. “Vogliamo raggiungere gli obiettivi della decarbonizzazione e quindi della transizione ecologica degli impianti, vogliamo raggiungere l’obiettivo di avere un nuovo produttore, ma deve esserci la garanzia per le persone di poter lavorare all’interno dell’impianto”.
Ferdinando Uliano (Fiom- Cisl). La richiesta di cassa integrazione da parte di Acciaierie d’Italia “scenderà da massimo 5.200 a 4.700 lavoratori, ma questo non basta: bisogna ridurla ulteriormente, con un calo progressivo legato alla ripartenza di tutti e tre gli altoforni. E non si deve parlare di esuberi. Il tema della cigs sarà al centro dell’incontro previsto per domani al ministero del Lavoro. Il piano di cassa integrazione, spiega inoltre Uliano, dovrebbe essere retroattivo a partire da marzo 2024 e fino a giugno 2026. Per quanto riguarda il bando di cessione, per noi è importante mettere al centro la tenuta di tutto il personale degli stabilimenti facenti parte del gruppo compresi i dipendenti di Ilva in As”.
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