Tutto rinviato al Ministero del Lavoro. Su incentivo all’esodo e ricorso al contratto di solidarietà, salta al momento l’accordo tra organizzazioni sindacali e Him Co Industry.
Fumata nera dunque dopo l’incontro che si è tenuto nella sede principale di Fossò (Venezia) e in collegamento con lo stabilimento di Casarano. L’azienda calzaturiera produce suole per grandi marchi e che occupa complessivamente 277, di cui 73 dei quali nel Salento.
Nel periodo compreso tra maggio e luglio ha perso una grossa commessa: da qui la necessità di garantire la sopravvivenza della società, dal punto di vista aziendale, attraverso il ricorso all’incentivo all’esodo ed agli ammortizzatori sociali.
La crisi. L’azienda ha avviato la procedura di licenziamento collettivo già da qualche settimana, una procedura che mette a rischio complessivamente 63 posti di lavoro. Effetto, secondo l’azienda, tanto del contesto economico internazionale quanto dell’affermarsi di nuovi modelli di business. Nel primo caso è stata la guerra tra Russia e Ucraina a dare un brutto colpo al settore del lusso (segmento all’interno del quale opera l’azienda calzaturiera): 20mila paia di scarpe solo per la perdita di quei due mercati.
Al momento le previsioni, molto aleatorie, prevedono una ripresa del comparto nella seconda metà del 2025. Le vendite da tre anni seguono un andamento negativo: 50 per cento dei volumi di produzione da 400mila paia di scarpe a 190mila paia nel giro di pochi anni. Il mutamento del modello di business mette poi in crisi le aziende complete come Him Co (in grado di gestire integralmente il business calzature): oggi è sempre più richiesta una specializzazione industriale, visto che i marchi sempre di più vogliono gestire direttamente la distribuzione e controllare il mercato.
Il contratto di solidarietà. Azienda e sindacati hanno trovato un punto di incontro nella necessità di azzerare le espulsioni di personale, ricorrendo al contratto di solidarietà (per effetto del quale tutti i dipendenti rinunciano a quote di stipendio per evitare i licenziamenti collettivi). L’accordo proposto dall’azienda prevedeva una perdita oraria mensile pari al 24% a tutti i lavoratori (full-time e part-time) per almeno un anno. Ci sarebbe stato poco o nulla da contestare se non fosse per un dettaglio: il peso maggiore del sacrificio richiesto ai dipendenti dello stabilimento di Casarano, rispetto a quelli di Fassò.
“Una solidarietà differenziata” che mal si concilia con lo spirito del contratto collettivo aziendale proposto. “Inoltre abbiamo chiesto di conoscere prima il piano industriale, per capire dove porterà questa crisi, dichiarata come strutturale e non congiunturale, alla fine del percorso”, spiegano Franco Giancane (Filctem Cgil Lecce), Sergio Calò (Femca Cisl Lecce) e Fabiana Signore (Uiltec Uil Lecce). “Abbiamo rilevato, inoltre, che appare quanto mai strano che si rinnovino ai primi di aprile i contratti a tempo determinato (mentre allo stesso tempo si chiudono i contratti con scadenza a dicembre) e poche settimane dopo si arriva addirittura a parlare di esuberi ed ammortizzatori sociali”. La riunione si è perciò conclusa con il mancato accordo e con la richiesta d’incontro al Ministero.
L’incentivo all’esodo. Him Co ha già avviato la procedura di licenziamento collettivo. La proposta di accesso all’incentivo all’esodo, inteso come non opposizione al licenziamento, è ritenuta dai sindacati “non soddisfacente e non performante”: appena 4 mensilità a chi accetterà il licenziamento entro il 31 luglio; solo 3 stipendi in caso di firma del licenziamento al 30 settembre; due mensilità a quei dipendenti che dovessero accettare il licenziamento entro novembre; una sola mensilità ai lavoratori che dovessero restare in azienda fino al 31 gennaio. A chi dovesse maturare i requisiti di accesso alla pensione entro marzo 2026, è stato proposto un incentivo di tre mesi se manifesteranno la volontà di essere licenziati entro marzo 2025. Tutti accordi tombali, ossia che faranno cessare qualsivoglia diritto o pretesa nel rapporto tra azienda e lavoratori all’atto della firma. L’ipotesi di accordo è stata dunque rigettata dai sindacati.
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