Otto mesi di Manduria, il trionfo nella Coppa Italia regionale e in corsa per i quarti di coppa nella fase nazionale. Secondo in classifica, in scia all’Ugento (primo) fino al mese di marzo, poi l’esonero a quattro giornate dalla fine del campionato.
E’ il percorso tracciato da Andrea Salvadore sulla panchina biancoverde, in discesa fino al mese di dicembre con il primato alla sosta natalizia e una media punti di 2.5 partita, capolista con quattro punti di vantaggio sulla seconda.
Poi tante cose sono cambiate nell’avvio del 2024, con il mercato la squadra è stata ridisegnata negli interpretati e nei ruoli chiave. Di riflesso, abbiamo ricostruito la stagione del Manduria insieme all’allenatore salentino, in sella ai messapici fino al 4 marzo 2024.
Mister, riavvolgiamo il nastro: l’approdo a Manduria, un’idea di fine aprile che prende corpo a maggio con l’obiettivo condiviso di riportare i biancoverdi in Serie D.
“Si’, l’obiettivo iniziale era costruire una squadra per il salto di categoria e abbiamo plasmato un organico di ottimo livello. Non essendoci il direttore sportivo, abbiamo trovato un’intesa di massima con la società su acquisti e cessioni. All’inizio mi è stata data la possibilità di portare diversi giocatori per potenziare l’organico. Ho cercato di trovare i giusti equilibri, ma ricepivo poca fiducia sui calciatori che indicavo. Non avendo avuto modo di portare il mio staff, ho accettato le persone proposte dalla società. Chiaramente, ambiente nuovo e staff nuovo producono dinamiche nuove. Nonostante i problemi logistici della prima parte di stagione per l’indisponibilità del Dimitri, abbiamo chiuso a dicembre da primi. Con grande sacrificio ci dividevamo tra Maruggio, Sava e Carosino”.
Cosa è cambiato la stagione in corso negli equilibri interni e come mai la squadra è stata in parte rivoluzionata negli interpretati?
“Il rispetto dei ruoli viene prima di ogni cosa, è un aspetto che mi piace sempre sottolineare, vale per qualsiasi azienda per costruire delle basi solide e raggiungere gli obiettivi. Quando mancano questi presupposti, diventa tutto più complicato. In corsa le cose sono cambiate e tante scelte sono state condizionate da troppe situazioni interne. Infatti, a fine novembre, le scelte adottate dalla società hanno avuto un riflesso diretto sul mercato. Sarei folle a mandare via due cannonieri che ho avuto con me negli anni precedenti. Scelte che poi si sono rivelate nel tempo azzardate, nonostante avessi manifestato le mie perplessità. A dicembre l’organico è cambiato tanto e anche gli equilibri interni. D’Aiello è un giocatore che ho cercato e voluto, dietro serviva solidità ed esperienza”.
Dalla vittoria della Coppa Italia con il Molfetta (4 febbraio), all’esonero un mese dopo (4 marzo). Perché in trenta giorni matura una decisione così drastica?
“A dicembre, invece di ricaricare le pile, abbiamo pagato subito dazio con Ginosa e Novoli, c’erano dei problemi radicati, quando ci siamo allenati in 7-8 durante la sosta. La coppa resta un trofeo storico per la città che tutti ci porteremo dentro per sempre. Mi piace ricordare come siamo arrivati al doppio scontro con il Molfetta: tra mille difficoltà, siamo andati a Galatina (gara di andata ndr) con 13 giocatori disponibili, complici anche gli infortuni di D’Ettorre e Cavaliere e una serie di acciacchi che hanno ridotto la rosa all’osso. Motivo per cui, a mercato chiuso, abbiamo esplorato il mercato straniero per allungare l’organico. Al ritorno abbiamo vinto con merito a casa loro, dandoci anche una chance importante nella fase nazionale. Nonostante non ci sia stato sempre un rapporto pulito e lineare con la società, abbiamo tirato dritto fino alla vittoria della coppa. Non sentivo più la fiducia e il vaso si è rotto definitivamente: 36 ore prima della gara interna con il Paternò, il presidente ha ritenuto opportuno allontanarmi”.
Futuro, nuovi scenari e prossime avventure.
“Credo di aver fatto bene in questi ultimi anni. Aspetto la chiamata giusta, sto valutando diverse situazioni, anche di categoria superiore, per me è importante condividere idee e progetti con i dirigenti. Avere una visione simile con l’ambiente ti aiuta a lavorare meglio, è un fattore che sarà determinante nelle scelte future, a prescindere dalla categoria. L’esperienza di Manduria ha lasciato un segno indelebile: la coppa è un trofeo che la società non aveva mai conquistato. Manduria è una piazza che merita qualcosa in più, ho costruito un rapporto incredibile con la città. Mi sono sentito uno di loro, forse è proprio quell’amore viscerale per la gente che non mi ha permesso a dicembre di chiudere tutto e dare le dimissioni. E voglio ringraziarli per quello che mi hanno trasmesso ogni singola domenica”.
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