Trovarsi nel borgo antico di Lecce tutto ad un tratto al cospetto della basilica di Santa Croce toglie il fiato. La sua bellezza rapisce e incanta. Ma a destare meraviglia e stupore non è soltanto la facciata che canta la magnificenza di Dio o il rosone di ispirazione romanica simbolo del Cristo sole.
La facciata racconta il trionfo del cristianesimo, rappresentato da cherubini, statue di santi e personificazioni delle virtù, sul paganesimo, simboleggiato da figure mitologiche e telamoni antropomorfi e zoomorfi. Su questo palinsesto in nome della fede si dipana attraverso simboli l’esaltazione della santa croce, la vittoria della vita sulla morte e la glorificazione dell’Ordine dei Celestini che si svenò a livello economico per erigere la chiesa conventuale dedicata a Dio e al vessillo della Croce.
La facciata appare come un libro di pietra che recita la catechesi e celebra la grandezza di Dio attraverso un atto di fede avvalorato da simboli allegorici. Seppur nella sobrietà lascia di stucco anche il suo interno trinavato corredato di 16 altari in stile barocco. Nel transetto sinistro si staglia un sontuoso altare racchiuso nella cappella di San Francesco di Paola e attribuito all’architetto e scultore Francesco Antonio Zimbalo che lo concepì come un trittico e lo concretizzò tra il 1614 e il 1615.
Munifico committente ne fu il barone di Sternatia, Giovanni Cicala. Questo capolavoro d’arte barocca, celebre per la sua struttura ad imbuto con due ali laterali convergenti verso la quinta scenografica di fondo, presenta intercolunni intervallati da dodici rilievi che illustrano episodi della vita del santo mistico calabrese, Francesco di Paola, che vaticinò in una delle sue visioni la profezia, rimasta inascoltata dai sovrani del Regno di Napoli, del sacco di Otranto e del fiume di sangue che nell’agosto del 1480 avrebbe tinto di rosso la città sino al mare a causa dell’eccidio degli 813 idruntini sul colle della Minerva.
Sull’altare privilegiato è incastonata la tela ottocentesca di Alessandro Calabrese raffigurante il santo eremita noto per le sue virtù taumaturgiche, le visioni, l’umiltà, la preghiera, la carità, la profezia e il potere di compiere miracoli. Sul fastigio rifulge in tutto il suo splendore il motto “Charitas” del santo dei poveri, fondatore dell’ordine religioso dei Minimi, mentre lungo i lati in alto campeggiano statue di angeli recanti simboli della Passione di Cristo in un tripudio di bellezza.
Ma ci sono tanti altri tesori racchiusi nel prezioso scrigno di questo monumento, simbolo del barocco leccese, che aspettano ancora di essere svelati.
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