Arriva dalla Puglia, da San Marco in Lamis (Fg) per l’esattezza, la miglior colomba classica edizione 2024. A realizzarla e presentarla al campionato nazionale dedicato al dolce pasquale per eccellenza organizzato dalla Federazione Internazionale di Pasticceria, Gelateria e Cioccolateria (Fipgc) a Tirreno C.T in corso di svolgimento a Carrarafiere, è stato Michele Pirro. Il maestro pasticcere di San Marco in Lamis si è piazzato al primo posto assoluto di categoria per il secondo anno consecutivo con un prodotto che rispetta rigorosamente tutti i canoni previsti dal disciplinare di produzione della colomba artigianale, con il solo inserimento di canditi d’arancia e copertura di glassa croccante.
Una bella novità è stata portata da Andrea Ceracchi, pasticciere di Cori (Lt) che ha trionfato nella categoria Colomba Innovativa con una colomba a base di frutta fresca.
Al concorso sono stati presentati oltre 100 dolci e per Matteo Cutolo, presidente Fipgc, «in questa edizione è stato davvero complesso eleggere il vincitore assoluto, visto l’altissimo il livello dei tanti partecipanti in gara. Questo dimostra quanto il nostro paese sia ricco di grandi professionisti che scommettono sempre nella formazione continua. Ed è proprio questa la mission della Federazione: confrontarsi e crescere, insieme».
Il mercato della colomba. Secondo i dati raccolti da Unione Italiana Food, lo scorso anno la produzione complessiva della colomba è stata di 23.443 tonnellate pari a 96,1 milioni di euro, con un consumo di circa 29,1 milioni di pezzi. Un recente studio condotto da AstraRicerche per Unione Italiana Food mostra come a consumare la colomba siano più di 7 italiani su 10, in particolare le famiglie con bambini e adolescenti (76%), con una percentuale lievemente maggiore nel Centro-Sud. La preferenza va alla tradizione, 65,3%, mentre il 9,7% sceglie colombe arricchite da farciture e glasse. Quasi la metà dei consumatori (49,9%) sceglie quelle dell’industria di marca mentre mentre uno su cinque (20.7%) preferisce la produzione artigianale.
Le consumazioni al bar e in pasticceria. Secondo i dati di una ricerca realizzata da BVA Doxa per Pluxee Italia, l’80% delle consumazioni durante la pausa pranzo fuori ufficio avviene nei locali (come bar e ristoranti), con costi che variano notevolmente: si parte da una media di 8,10 euro per la consumazione di un panino/piadina/toast con bevanda e caffè, e si raggiunge un costo medio di 15 euro per un menù completo. Per consumare invece un primo piatto si spendono mediamente 9,80 euro, mentre per un secondo piatto, la cifra si aggira attorno agli 11,60 euro. Le consumazioni da asporto, che costituiscono il 20% sul totale delle pause pranzo fuori ufficio degli italiani, risultano leggermente più contenute: in media 6,00 euro per un panino/piadina/toast (escluse bevande), 7,40 euro per un primo piatto e circa 9,30 euro per un secondo piatto.
A livello regionale però si possono notare differenze piuttosto evidenti. Al Nord, dove il costo della pausa pranzo fuori ufficio è superiore rispetto al resto dell’Italia, per consumare un panino/piadina/toast con bevanda e caffè si può arrivare a spendere 8,90 euro (Lombardia), mentre la cifra si aggira attorno a 7,80 euro nel Centro Italia o 7,40 euro nel Sud e Isole. Allo stesso modo per consumare un menù completo con bevande incluse, la cifra stimata nel Nord Italia può arrivare fino a 16,10 euro (in particolare nel Nord Est) invece che 13,30 euro del Sud e Isole. Il divario si manifesta anche nelle consumazioni da asporto: il prezzo di un panino/piadina/toast si aggira attorno a 4,80 euro nel Sud Italia e Isole, raggiunge un picco di 6,80 euro in Lombardia.
Il comparto bar I bar presenti in Italia sono 136.101. In nove regioni, in ordine decrescente per numerosità: Lombardia (21mila 600, 15,9% del totale Italia), Campania (14mila 500, 10,7%), Lazio (14mila; 10,2%), Veneto (11mila, 8%), Emilia Romagna (10mila 600, 7,8%), Piemonte (9mila 300, 6,8%), Sicilia (8mila 600, 6,4%), Puglia (8mila, 6%) e Toscana (7mila 800, 5,7%) si concentrano oltre i tre quarti delle imprese del settore. Oltre il 50% di queste imprese è una ditta individuale e la variabilità regionale intorno a questo valore è assai sostenuta. La forbice va dal valore minimo del Lazio (42,2%) a quello massimo della Calabria (74,3%). L’altra metà delle imprese si divide tra quasi il 30% di società di persone e quasi il 20% di società di capitale.
Colazione, pranzo, pause, aperitivi, intrattenimento sono i punti cardinali dell’offerta del bar per un valore di 23 miliardi di euro dietro cui opera una lunga filiera di produttori e grossisti. Il bar è anche fonte di lavoro. Sono oltre 300.000 le persone impiegate tra indipendenti e dipendenti. Di questi ultimi, più della maggioranza, ossia il 59%, è assunto con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, con una prevalenza delle soluzioni part-time (59,3%). Significativa anche la presenza femminile: sei dipendenti su dieci, infatti, sono donne.
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