BARI – “Chiarirò agli inquirenti di essere estraneo ai fatti contestati e chiederò al più presto la revoca del provvedimento interdittivo”. Elio Sannicandro, ex numero uno di Asset – da poco più di 24 ore indagato nell’inchiesta della Gdf barese e della Procura sugli appalti manipolati relativi al dissesto idrogeologico – si difende così da chi lo accusa di aver ricevuto una tangente da 60mila euro per favorire determinate aziende pugliesi nelle gare. Ma già in una perquisizione del 2020 nell’appartamento del rione Madonnella dell’ingegnere sono stati trovati 8500 euro in contanti, cifra – a suo dire – prelevata da un bancomat ma, ritenendoli parte della mazzetta, la procura ha disposto il sequestro di altri 51mila e 500 euro. Nel frattempo, la Regione è corsa ai ripari sostituendolo alla direzione generale dell’ente con il generale Gdf in pensione, Salvatore Refolo.
Nell’inchiesta sono indagate in tutto 23 persone, tre delle quali finite in carcere (l’imprenditore lucerino Antopnio Di Carlo di 62 anni) e ai domiciliari (la figlia Carmelisa, di 32 anni) e il dirigente Coni Sergio Schiavone, 60enne beneventano. A Sannicandro, l’interdizione dai pubblici uffici per un anno come per altri cinque indagati tra i quali un funzionario regionale. Sannicandro – all’epoca dei fatti – era commissario straordinario per il dissesto idrogeologico della Regione Puglia e gli appalti contestati dai pm della procura barese riguardano proprio questo comparto.
Secondo l’impianto accusatorio, Sannicandro avrebbe incontrato l’imprenditore lucerino Di Carlo – che avrebbe gestito la fitta rete della gestione di appalti pagando tangenti anche cospicue per manipolarli e ottenerli e per far partecipare imprese senza requisiti – tramite l’intermediazione di Schiavone, in almeno quattro occasioni tra Roma e Bari in concomitanza con lo svolgimento delle gare d’appalto. Secondo l’intermediario schiavone, Sannicandro si sarebbe letteralmente innamorato di Di Carlo dopo un primo incontro al Circolo della vela di Bari. A destare l’attenzione degli uomini della guardia di finanza alle prese con le numerose intercettazioni in cui le tangenti venivano chiamare “caramelle”, “polizze”, “ossigeno” e “polli”, la spregiudicatezza con la quale l’imprenditore di Lucera parlava al telefono o con la sua segretaria o annotava le cifre sul suo taccuino. “Episodi inquietanti”, li ha definiti il procuratore aggiunto Alessio Coccioli che ha guidato il pool composto dai pm Claudio Pinto e Savina Toscani.
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