Il core business dell’organizzazione criminale sarebbe stato il mercato della droga. E poi alcune estorsioni compiute e altre solo tentate ai danni di imprenditori, e il riciclo dei proventi dello spaccio per l’acquisto di auto. Due masserie del brindisino le basi logistiche del presunto clan: uno nel capoluogo messapico l’altra nelle campagne di Fasano. Il sodalizio prevedeva anche riti di affiliazione e regole da rispettare per appartenere al gruppo malavitoso.
Sono ventidue le persone arrestate (21 in carcere ed una ai domiciliari) tra le provincie di Brindisi, Bari, Lecce, Taranto sulle base delle ordinanze di custodia cautelare disposte dal gip del Tribunale di Lecce, richieste dalla procura distrettuale antimafia di Lecce. In totale 39 gli indagati a vario titolo per associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, tentato omicidio, detenzione e porto illegale di armi da fuoco e da guerra, violenza privata, lesioni personali, estorsione, ricettazione, danneggiamento seguito da incendio ed autoriciclaggio, tutti aggravati dal metodo mafioso.
L’inchiesta dei carabinieri della compagnia di San Vito dei Normanni è partita da un tentato omicidio compiuto nei confronti di un sorvegliato speciale il 5 luglio del 2020 a Latiano, in provincia di Brindisi. Dall’attività investigativa dei carabinieri sarebbe emerso il coinvolgimento di un presunto sodalizio criminale guidato da Gianluca Lamendola, nipote del mesagnese Carlo Cantanna, condannato all’ergastolo e ritenuto al vertice di una frangia della Sacra corona unita.
Gli accertamenti successivi avrebbero fatto emergere l’esistenza del presunto clan, con gli indagati che si sarebbero inizialmente imposti nel controllo del territorio di San Vito dei Normanni, per lo spaccio di droga e delle estorsioni, per poi estendere il controllo anche in altri centri della provincia.
Il gruppo avrebbe detenuto alcune armi comuni da sparo, e da guerra, come una pistola mitragliatrice Skorpion, occultate e prontamente disponibili. Gli investigatori, inoltre, contestano al clan diverse estorsioni e tentativi di estorsione in danno di imprenditori locali e cittadini entrati in conflitto con gli interessi dell’organizzazione, per un totale di circa 19mila euro.
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