“Facciamo tutti parte della stessa nave, remiamo nella stessa direzione: salvare la siderurgia italiana. Bisogna delineare la politica industriale, di cui la siderurgia è un asset strategico. Insieme, come sistema Italia, potremmo far valere meglio il nostro interesse nazionale nel confronto con l’azienda, che poi è espressione di uno dei più grandi attori globali nel settore siderurgico. Il Made in Italy non è solo una denominazione, è anche un modo lavorare insieme”. Lo ha affermato Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, al termine del confronto su Acciaierie d’Italia, ex Ilva, al Mise. Parole che, però, non convincono appieno gli attori del confronto, in particolar modo i sindacati che temono possa trattarsi dell’ennesimo buco nell’acqua.
Per Francesco Rizzo, Sasha Colautti e Fabio Ceraudo, del coordinamento nazionale Industria Usb, le parole del ministro Urso sono “un film già visto. Ne abbiamo ascoltate di simili tante volte in questa stessa sede, ci riportano alla memoria Clini: da allora è passata tanta acqua sotto i ponti e oggi parliamo di ben altri livelli occupazionali. Che senso può avere un invito alla ripresa del dialogo tra Acciaierie d’Italia e forze sindacali se l’Ad Lucia Morselli, non presente all’incontro, non perde occasione per dimostrare che non intende affatto interloquire, ma provocare con metodi inaccettabili? Moltissime le incongruenze e le domande ancora senza risposta. Siamo all’osso, troppe situazioni ormai al collasso: a partire da un ricorso vergognoso e sfrenato alla cassa integrazione sulle spalle dei lavoratori, per passare alla condizione degli ex Ilva in As e per finire alla desolante situazione dell’appalto che, dopo esser stato stremato da infiniti ritardi nel pagamento delle fatture arretrate, ha avuto il benservito con la sospensione delle attività di moltissime aziende, anche locali. Ribadiamo ancora una volta che l’unica via percorribile è la nazionalizzazione di questa azienda. Per tutte queste condizioni, Usb dichiarerà sciopero di 8 ore sui tre turni per la giornata di lunedì 21 novembre, il primo atto di una lotta per il futuro e la difesa dei lavoratori”.
Nazionalizzazione, parola chiave anche per Rocco Palombella della Uilm: “L’incontro al Mise deve stabilire uno spartiacque e interrompere la farsa che dura da 10 anni, tempo lunghissimo per un processo industriale. La situazione è drammatica, di non ritorno. Acciaierie d’Italia ha i giorni contati. Le 145 aziende dell’appalto ferme, 2mila lavoratori coinvolti, è solo un pezzo. Certo, un pezzo importantissimo che ci ha fatto accelerare ed essere qui al Mise, ma che si aggiunge ai 2.500 in cassa integrazione unilaterale iniziata da marzo e ai 1.700 di Ilva in Amministrazione straordinaria. A marzo l’azienda aveva stabilito investimenti e tempi per la risalita produttiva: si doveva risalire a 5,7 milioni di tonnellate nel 2022, ma siamo a poco più di 3 milioni. Insomma, continuiamo a non produrre disattendendo gli impegni assunti: come può andare avanti il sito di Taranto con 2 altiforni e quasi tutti gli impianti di finitura fermi? La soluzione non è il miliardo, il miliardo va finalizzato. Il Governo deve fare un atto di coraggio e trovare il modo di nazionalizzare o diventare socio di maggioranza. Solo così si può salvare la produzione di acciaio italiana e iniziare una fase nuova. Ma bisogna procedere subito, oggi, non domani”.
No ai ricatti, si alla nazionalizzazione per Antonio Spera, segretario nazionale Ugl Metalmeccanici: “Abbiamo chiesto al governo di intervenire presto e nazionalizzare l’azienda. Bisogna salvare il sito siderurgico più grande d’Europa, asset strategico per tutta l’industria italiana. Importante è l’apertura al confronto da parte del ministro Urso, perché con la convocazione al Mise ha ripristinato le relazioni industriali, mancate negli ultimi anni. Non ci sono più le condizioni per lasciare Acciaierie d’Italia alla mercé della multinazionale Arcelor Mittal, che ricorre sempre al ricatto per fare cassa. La decisione di far ricadere sulle imprese appaltanti e lavoratori i problemi dello stabilimento è l’ultimo atto inaccettabile. Soprattutto in questo momento di transizione ecologica, occorre definire un percorso chiaro condiviso da tutti – ministero, azienda e parti sociali – per poter concludere la vertenza Acciaierie d’Italia nel modo più positivo possibile. La situazione che stanno vivendo i lavoratori, diretti e indiretti delle Acciaierie, è drammatica. Arcelor Mittal non ha mai rispettato gli accordi, ha fatto sempre ricadere su soggetti terzi scelte, peraltro mai condivise con le parti sociali, eludendo costantemente le relazioni industriali. Ci sono lavoratori in amministrazione straordinaria che non hanno alcuna percezione del loro futuro lavorativo. Per tutte queste ragioni, come Ugl Metalmeccanici ricorreremo alle iniziative che riterremo necessarie a sostegno dei lavoratori diretti e indiretti”.
“Nessuna risposta concreta per i lavoratori delle 145 aziende dell’indotto – scrivono in una nota congiunta De Palma e Gianni Venturi, responsabili nazionali siderurgia per Fiom-Cgil -. Abbiamo chiesto al governo di assumere il controllo e la gestione di Acciaierie D’Italia, a partire dall’utilizzo delle risorse già stanziate (un miliardo di euro) per riequilibrare gli assetti societari senza attendere la scadenza del 2024. Il ministro Urso ha preso l’impegno all’avvio di un percorso di confronto. Serve una cabina di regia permanente presso il Ministero per riscontrare la coerenza degli impegni, a partire dalla necessità che l’azienda ritiri i tagli alle imprese dell’indotto, che si riapra la negoziazione del mancato accordo sulla cassa integrazione straordinaria, che si verifichino gli assetti di marcia degli impianti e la loro sicurezza, che si garantisca l’integrazione salariale per i lavoratori in amministrazione straordinaria”.
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