BARI – Il Tribunale del Riesame di Bari ha disposto la scarcerazione, sostituendo la detenzione in carcere con gli arresti domiciliari, per Mario Antonio Lerario, l’ex dirigente della Protezione civile della Regione Puglia, in cella dal 23 dicembre scorso per corruzione, con l’accusa di aver intascato una tangente da 20 mila e una da 10 mila euro da due imprenditori. I giudici hanno accolto l’appello cautelare proposto dalla difesa di Lerario, l’avvocato Michele Laforgia, contro il provvedimento con il quale il gip, il 19 gennaio scorso, aveva rigettato l’istanza. Le motivazioni della scarcerazione, firmata dalla presidente Giulia Romanazzi, saranno depositate entro 45 giorni.
L’appello si basava sulla attenuazione delle esigenze cautelari. “L’immediata revoca di tutti gli incarichi dirigenziali assume, in concreto, – secondo la difesa – una valenza assai rilevante, determinando la cessazione dei poteri connessi alle funzioni pubbliche all’origine delle condotte criminose contestate”. Lerario, cioè, non potrebbe reiterare i reati. L’avvocato Laforgia evidenzia anche la “concreta resipiscenza mostrata con la decisione, tutt’altro che indolore, di rassegnare immediatamente le dimissioni dal servizio, nella consapevolezza di aver comunque recato, con la propria condotta, un grave pregiudizio all’immagine dell’ente di appartenenza”. Con riferimento al pericolo di inquinamento probatorio, la difesa ricorda che “le due dazioni di denaro sono ampiamente documentate e sono state ammesse dagli stessi indagati” e che, nonostante quella che gli inquirenti ritengono una “bonifica” dalle microspie negli uffici della Regione, le intercettazioni “sono ininterrottamente proseguite sino al giorno dell’arresto, effettuato in flagranza” proprio sulla base delle conversazioni intercettate. Il legale ha poi sostenuto la tesi del tempo trascorso in carcere, ormai quasi tre mesi. “Soprattutto in tempi di sovraffollamento carcerario e persistente emergenza sanitaria”, se si considera che nelle settimane successive all’arresto di Lerario nel carcere di Bari c’erano 83 casi Covid, bisognerebbe “ricorrere alla misura inframuraria in presenza di concreti pericoli per la sicurezza e l’ordine pubblico, e non in ragione del clamore e dell’allarme sociale, né tantomeno per malcelate finalità punitive, illegittimamente anticipatorie del giudizio e della pena”. In udienza il procuratore Roberto Rossi e l’aggiunto Alessio Coccioli si erano opposti alla scarcerazione, spiegando che la vicenda delle microspie e le dimissioni non ridurrebbero i rischi di inquinamento delle prove e di reiterazione dei reati. Dopo il deposito delle motivazioni valuteranno se impugnare il provvedimento in Cassazione.
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